Maura Banfo | Paolo Leonardo
Maura Banfo, impegnata da molti anni nella ricerca fotografica, espone nella prima sala della galleria 5 grandi fotografie – rappresentazioni d’interni di case, di ambienti domestici, visti come codici d’accesso alla vita privata delle persone – che ruotano intorno ad una scultura raffigurante un nido, simbolo della casa intesa come rifugio, luogo di provenienza.
“ A differenza di molti fotografi contemporanei – sottolinea Norma Mangione nel testo scritto per la mostra – che, pur lavorando sugli spazi dell’uomo, hanno rinunciato alla rappresentazione diretta dell’uomo, come gli artisti della scuola di Düsseldorf o in Italia Gabriele Basilico, Maura Banfo non cerca l’oggettività. Il suo punto di vista è parziale e soggettivo. Utilizzando una tradizionale macchina a pellicola e la tecnica del macro, adoperata comunemente nella fotografia naturalistica e che richiede l’uso di speciali lenti e accessori, lo sguardo di Maura si avvicina alle cose fino a trasfigurarle. Le sue immagini contengono un paradosso: in esse gli oggetti si possono osservare meglio che a occhio nudo, entrandovi quasi dentro e scoprendovi nuovi particolari, ma allo stesso tempo li si perde di vista, dissolti nelle sfocature pittoriche.
Il nuovo progetto che l’artista presenta in galleria è una riflessione sull’abitare, sullo spazio chiuso, intimo e privato che separa e difende dal mondo esterno, “centro attorno a cui gravitano immagini di intimità protetta”, come lo descrive Gaston Bachelard nel suo saggio La poetica dello spazio. Uno spazio interiore, più mentale che fisico, proiezione di desideri e specchio di identità.
Centro e fulcro della mostra è la scultura di un nido, simbolo per eccellenza di protezione e nascita, soggetto che Maura ha utilizzato più volte nel suo lavoro. Con la sua architettura di rami e foglie, i materiali più semplici che la natura offre, il nido contrasta con la preziosità degli interni nelle fotografie.
Gli interni regali, le museali tavole imbandite, le rose tristemente appassite davanti a specchiere e le cornici dorate raccontano rituali domestici che impregnano di memoria spazi e oggetti. I suoi lavori, fatti di oro e di specchi, simulacri di luce – la sostanza stessa della fotografia – indagano le possibilità e lo statuto ontologico del mezzo fotografico”.
Paolo Leonardo occupa la seconda sala con circa cinquanta opere, frutto degli ultimi due anni di lavoro. Una sequenza di dittici e polittici (acrilici e chine su carta di grandi dimensioni, due/tre/quattro metri x settanta centimetri) si susseguono sulle pareti in una sorta di striscia, quasi frame di una pellicola cinematografica. Ed è proprio su immagini tratte da film vari che Paolo Leonardo opera. In questa mostra, per la prima volta, troviamo anche immagini tratte da fotografie fatte dallo stesso artista. Sagome, ritratti, primi piani, paesaggi si alternano secondo il concetto di montaggio cinematografico che prevede degli stacchi. Tra uno stacco e l’altro sta la dimensione del non visibile che interessa all’artista, quella sospensione in cui, come diceva Jean Luc Godard, succede qualcosa che non esiste. Quelle di Paolo Leonardo sono in fondo delle micro storie, che in realtà non raccontano altro che quel “qualcosa che non esiste”.