Marco Tirelli
Dalla fine degli anni ’70 ad oggi, Tirelli non si è mai sottratto al suo impegno nei confronti della pittura anche se la sua formazione mentale è maturata nell’ambito dell’Arte Concettuale. In questi anni, ha portato avanti una ricerca formale dominata dall’essenzialità delle forme che è ancora la cifra distintiva del suo lavoro. Nelle sue tele, le figure sono apparizioni volumetriche cariche di pathos, di sensualità fisica, che toccano le corde più intime del nostro inconscio. Qui ordine e disordine, visionarietà, vigore e azzardo convivono. Le sue opere sono finestre aperte sul buio dell’infinito, superfici che l’artista illumina morbidamente come se le forme fossero carpite al buio. Luce ed ombra si contrappongono sul tessuto dell’opera ma è la luce a permettere alle forme di uscire. La superficie segna il limite tra il fisico e il mentale e questo è il luogo che interessa all’artista, la porta fra la realtà e il possibile.
“…nei miei quadri – ci dice Tirelli in una recente intervista con Paola Ugolini – cerco delle forme, degli oggetti che possano, il più possibile riverberare e portare oltre se stessi, mostrandoci il loro essere eco, traccia di qualcosa d’altro. Ogni forma per me è carica del mondo che si porta dietro, forma che io cerco di ridurre all’essenza, perché è così che si può aprire al massimo di senso. Questa è la magia dell’opera d’arte, la capacità di farti andare oltre quello che vedi, questa è la sua potenza immaginifica, questa è la sua meraviglia”.
L’artista lavora su un flusso generale e non su un’idea precisa di una mostra, anche in questo caso la Galleria è come una sorta di cosmogonia o di planetario dove ogni stella brilla in sé ma trova il suo equilibrio nella relazione con le altre; il tutto accentuato dalla colorazione dei muri della galleria ad esaltare il sotterraneo legame che unisce ogni singola opera all’altra.